Le pressioni, le intimidazioni e la denuncia: Bombino racconta il suo “muro” contro la colonizzazione del Parco Nazionale d’Aspromonte da parte della politica

Cannizzaro Francesco nuova 1di Claudio Cordova - Non mancano anche i momenti difficili, in cui la voce di Giuseppe Bombino quasi si rompe, ricordando la lunga sfilza di intimidazioni subite. La lunga deposizione dell'ex presidente del Parco Nazionale nel processo "Gotha" tocca anche (e molto) l'attività messa in atto alla guida dell'Ente.

E, soprattutto, i tentativi di respingere i pressanti tentativi della politica di mettere le mani sul Parco.

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Bombino racconta le grandi manovre dell'allora consigliere regionale e oggi deputato, Francesco Cannizzaro, per anni molto ben inserito nell'Ente Parco. Al procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, Bombino racconta che tra la fine del 2015 e gli inizi del 2016, in relazione alla procedura di nomina del Direttore del Parco Nazionale d'Aspromonte, l'allora Consigliere Regionale della Calabria, Francesco Cannizzaro, componente del Consiglio Direttivo del Parco, "è stato uno dei maggiori sostenitori della candidatura di Filippo Aliquò, insieme al Senatore Antonio Caridi". Le affermazioni di Bombino coinvolgono due tra i principali imputati del processo "Gotha", l'ex senatore Antonio Caridi e l'ex sottosegretario regionale Alberto Sarra, che sarebbero stati gli strumenti attraverso cui la cupola massonica della 'ndrangheta, capeggiata dagli avvocati Paolo Romeo e Giorgio De Stefano, avrebbe infiltrato le istituzioni. Proprio Caridi, affinchè Aliquò (cognato di Alberto Sarra) fosse inserito nella terna dei candidati da sottoporre agli organi ministeriali per la designazione della figura dirigenziale, si sarebbe rivolto a Bombino all'inizio del 2016 per perorare la causa (e la nomina) di Aliquò. Il presidente dell'Ente Parco, però, avrebbe fatto presente sia a Cannizzaro, che a Caridi, che Aliquò non possedeva i requisiti necessari per essere inserito nella terna di persone da sottoporre al Ministro per la nomina. I convincimenti di Bombino sulla inadeguatezza di Aliquò si basavano essenzialmente sulla lettura di tre profili del candidato: il curriculum, le capacità professionali e una pregressa specifica esperienza di Aliquò in seno al Parco Nazionale del Pollino. In tale circostanza, Aliquò, ricorda Bombino, aveva "avuto problemi per la gestione amministrativa di tale ente, tanto da avere avuto connesse vicende giudiziarie". Inoltre, Bombino spiega che ciò che avrebbe voluto evitare era che un organo tecnico come quello di Direttore del Parco Nazionale d'Aspromonte, "potesse essere diretta espressione politica" – e quindi strumento "per creare consensi di natura politica" – attesi i rapporti di parentela ed amicizia che legavano Aliquò a Sarra, Cannizzaro e Caridi.

Pressioni da destra. Ma non solo. In quel periodo, Bombino sarebbe stato anche destinatario di alcune premure in favore della eventuale nomina di Pino Putortì, funzionario della Prefettura di Reggio Calabria, che secondo l'opinione pubblica era più vicino alla Sinistra e, in particolare, a Demetrio Naccari, oggi indagato per concorso esterno in associazione mafiosa nell'ambito dell'inchiesta "Libro Nero". Bombino si riferisce comunque a una vox populi, che mai, stando a quanto riferito in aula, si concretizzò con richieste di alcun tipo relativamente alla posizione di Putortì.

Bombino, comunque, regge: "Non volevo una persona locale alla direzione del Parco, perché temevo che più che rispondere al territorio potesse rispondere ai propri sponsor". Da sempre, ricorda l'ex presidente, l'Ente Parco sarebbe stato colonizzato dal Comune di Santo Stefano in Aspromonte, in quel periodo (come oggi, del resto) retto dal sindaco Francesco Malara, legato da vincoli di parentela con il defunto boss della 'ndrangheta, Rocco Musolino. Addirittura, rammenta Bombino, gli impiegati del Comune avrebbero utilizzato liberamente (e indebitamente) i mezzi del Parco. Bombino, dunque, avrebbe spezzato un sistema radicato da anni, a cominciare dalla sede: "Smantellai la sede di Gambarie, valorizzando la possibilità di avere un bene confiscato e con la scusa di essere più vicino agli altri palazzi istituzionali. Non mi fu perdonato".

Ma i "no" più grandi, Bombino li avrebbe detti sotto il profilo economico, ponendo fine, in particolare a quella che chiama una "assegnazione clientelare dei fondi" gestiti dall'Ente Parco. Bombino racconta di aver ereditato "un attivo di circa 8 milioni ...di euro". In passato, le attività non venivano promosse secondo piani organici ma, al contrario, erano i singoli Comuni che, tramite associazioni e/o cooperative, richiedevano finanziamenti per attività di loro esclusivo interesse. Tra gli episodi di maggior rilievo menzionati da Bombino vi sarebbe il caso del Comune di Santo Stefano d'Aspromonte che aveva di fatto creato "una vera e propria organizzazione per cercare di far partecipare molte associazioni in questo caso riconducibili alla figura del Sindaco, Francesco Malara, le quali avevano presentato a cliché tutta una serie di proposte variando solo una parola per cercare di avere ciascuna il proprio finanziamento". Tutte queste associazioni erano chiaramente riconducibili, per sua stessa ammissione, al Sindaco di Santo Stefano d'Aspromonte – nonché componente del Consiglio Direttivo dell'Ente Parco Nazionale d'Aspromonte – Francesco Malara, il quale aveva addirittura illustrato a Bombino che tale strategia era stata studiata a tavolino: "Il Comune di Santo Stefano dava per scontato il predominio sul Parco" dice Bombino. E proprio Malara e Cannizzaro, probabilmente le due anime più influenti di quel luogo, sarebbero stati "le personalità più esuberanti nel Consiglio Direttivo, andando contro il mio modo di intendere la Cosa Pubblica".

Lo stesso Cannizzaro nei giorni successivi all'arresto del suo padre politico, Totò Caridi, avrebbe avvicinato Bombino per parlare della vicenda: "Mi disse che era a conoscenza del futuro arresto di Caridi, ma che se lo aspettava in un altro periodo. Mi disse che aveva quel tipo di informazioni da un parente magistrato e che lui 'era a posto', anche perché in quei giorni (siamo nell'estate 2016, ndi) aveva partecipato a una cena con dei magistrati e quindi era accreditato". Quando Cannizzaro chiede di incontrarlo per parlargli di queste tematiche, Bombino ha già reso dichiarazioni agli inquirenti, anche sul conto dello stesso Cannizzaro: "Ebbi la sensazione che potesse aver saputo, anche se non riuscivo a spiegarmi come".

L'ex presidente del Parco non ha difficoltà a parlare di "attività predatoria" sui fondi e di un metodo per "fregare l'ente pubblico per interessi localistici". Ha difficoltà, però, nel raccontare la sequela di intimidazioni e minacce ricevute, in maniera ciclica. Dalle lettere minatorie alle pallottole lasciate sull'auto di Stato, passando per una piccola lupa uccisa e, infine, a una lettera della congiunta di un detenuto che l'avrebbe messo in guardia circa un progetto di attentato ai suoi danni: "Le mie azioni mi avevano portato alla marginalizzazione ed ero oggetto di intimidazioni continue". Bombino fatica a ripercorrere quei momenti, evidentemente drammatici, ma spiega i motivi per cui, dopo l'arresto di Paolo Romeo, si convincerà a chiedere spontaneamente di essere sentito dagli investigatori: "Non sapevo che opponendomi a queste persone mi stessi opponendo a quel sistema poi disvelato dalle indagini".