Reggio Calabria, la città d’Italia con più avvocati: perché?

toga15aprdi Simone Carullo - Due settimane fa, precisamente il 15 maggio, sul "Sole 24Ore" è uscita la notizia secondo cui Reggio Calabria sarebbe la città d'Italia a più alta densità di avvocati: 77,5 ogni 10 mila abitanti. Più del doppio di Roma. Seguono Benevento 71,2; Catanzaro 66,4; e a Cosenza 63. Tre città calabresi nelle prime quattro posizioni e quattro su quattro città meridionali. I dati riportati dal giornale campano appaiono quantomeno contraddittori: quanto più la realtà economica presa in esame risulta depressa, tanto più la presenza di professionisti legali è massiccia.

Il Presidente della Cassa forense Nunzio Luciano - sentito dai colleghi del giornale milanese - ha spiegato che il dato sarebbe dovuto al fatto che "il pubblico impiego non offre più sbocchi, né ci sono altri lavori".

"Il problema - prosegue - è che molti si sono rifugiati nella professione di avvocato nonostante il mercato sia completamente saturo e i dati reddituali ci dicono che al Sud i proventi siano sempre più bassi".

Ma perché, dunque, i neodiplomati reggini (e calabresi) scelgono Giurisprudenza se il mercato è saturo e le possibilità di emergere sono ridotte all'osso?

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E' arcinoto infatti che, quantomeno nel reggino, gli avvocati che non siano figli d'arte e che al contempo siano sprovvisti del più importante dei titoli, ovvero quello di "figlio di..." o "compare del...", difficilmente trovano in città un impiego "retribuito" in uno studio legale, ed ancor più difficilmente riescono ad avviare uno studio proprio. D'altro canto, in questa statistica non si tiene conto di tutti gli studenti usciti da Giurisprudenza che non si sono abilitati all'esercizio della professione o, a maggior ragione, di quelli che hanno abbandonato l'Università prima di laurearsi.

Pare a noi, che i dati riportati dal "Sole24Ore" abbiano in fondo una matrice di carattere culturale, che si somma altresì ad almeno altri due fattori (o concause): quello geografico e quello sociale.

Da un lato ci sono i figli della provincia, i quali hanno alle spalle la pressione familiare di tutti quelli che hanno fatto tanti sacrifici per poter far studiare i propri figli. Le nonne e le mamme di tutta la Calabria sognano struggenti un avvocato in famiglia e guardano alla professione come motivo di vanto; dall'altro ci sono i figli della città (che non è meno provinciale della sua provincia). I rampolli della media borghesia imprenditoriale ed impiegatizia reggina - ma un discorso analogo può essere fatto per Cosenza e Catanzaro - scelgono di studiare Legge per due ordini di motivi: in primo luogo c'è il vantaggio di avere la Facoltà in città, circostanza che spinge ad optare per una soluzione comoda ed al contempo di prestigio. In subordine abbiamo l'influenza che deriva dal "contesto sociale" (che è sempre pervasiva) e l'accensione della scelta per contiguità. Reggio, la Calabria, sono posti di avvocati, quindi la scelta di Giurisprudenza è normale quando non indicata; si aggiunga che se sempre più giovani prendono quella strada, sempre più giovani sono spinti a seguirla. Ovvero, stiamo parlando di una sorta di circolo vizioso.

Quanto detto riguarda per lo più le matricole che non hanno ben chiare le idee circa il proprio futuro e le proprie aspirazioni che si abbandonano a soluzioni di ripiego. Non va però dimenticato che - sebbene non siano quantificabili - molti studenti nutrono una genuina passione per la materia e scelgono Legge con cognizione di causa.

Ma quali sono le conseguenze di tutto questo? Dal sovrabbondante dato sopra riportato derivano situazioni sgradevoli ma caratteristiche del problema: parliamo della mole di avvocati che affollano i tribunali in cerca di clienti, o della schiera di tirocinanti quasi sempre non retribuiti – anche a causa del loro scarso potere contrattuale - di cui gli studi si servono per funzionare; parliamo di un microcosmo di avvocati a spasso che sedimentano in una città asfittica.

 D'altronde, come dice John Milton in "L'avvocato del Diavolo", "l'avvocatura è il nuovo sacerdozio!"

 Nondimeno, il fatto che vi siano così tanti avvocati in giro può essere interpretato come la causa principale della proverbiale "rissosità" tipica di città come Reggio, e conseguentemente della mole di procedimenti civili che paralizzano i nostri tribunali.

Si tratta del fenomeno "della domanda indotta" ("built bed is a filled bed") postulato per il settore sanitario ma applicabile ai vari ambiti dell'economia. L'induzione delle prestazioni è resa possibile dall'asimmetria di informazioni che caratterizza la relazione legale-cliente e che si realizza in due modi: da un lato gli avvocati possono modificare la percezione del cliente delle proprie necessità e dall'altro, in quanto "agenti" dell'assistito, sono in grado di enfatizzare le capacità del sistema giuridico italiano di soddisfarle.

Detto in soldoni, secondo questa chiave di lettura, l'avvocato che trova difficoltà a lavorare a causa di un mercato - come detto - oltremodo saturo, tenderebbe a generare nell'altro un "falso bisogno" al quale viene connessa una "grande aspettativa" (la vittoria innanzitutto; un copioso indennizzo in subordine). La massiccia presenza di avvocati spiegherebbe, dunque, perché a Reggio, come in Calabria, la maggior parte delle persone cerca di sanare questioni di scarsissima o nulla rilevanza attraverso il ricorso alla Giustizia.

Questa interpretazione è confortata da un'altra statistica che riguarda la nostra città: a Reggio Calabria si registrano infatti ben 76 cause iscritte al ruolo ogni 1.000 abitanti. Un'enormità.

Pertanto, alla luce di questi dati, è possibile dedurre come il contenzioso esploda là dove ci sono troppi avvocati. Reggio, Catanzaro e Messina in testa.

 Tuttavia, guardando al futuro una buona notizia ci sarebbe. Il dato analizza una realtà in essere, ma sempre secondo la "Cassa Forense" le iscrizioni a Giurisprudenza stanno via via diminuendo. Tra circa un decennio avremo più ingegneri che avvocati. Il catasto è avvertito!