“Da Paolo Romeo e Giorgio De Stefano la pianificazione delle strategia politiche dell’intera Calabria”: le motivazioni del processo “Gotha”

destefanogiorgio avvocato recente 500di Claudio Cordova - "Il tenore esplicito dei messaggi veicolati, la serietà degli argomenti, l'uso costante del plurale "noi" da parte di entrambi gli imputati (i quali, lo si rammenta, provengono da esperienze politiche personali sviluppate – almeno all'apparenza – secondo ideali, principi e adesioni partitiche diametralmente opposte ed inconciliabili), gli evidenti riferimenti alla possibilità di "spostare", ad appena una settimana dal voto delle elezioni regionali, pacchetti consistenti di voti sono tutti elementi che offrono dimostrazione del fatto che un tale tipo di intervento a vantaggio dell'uno o dell'altro candidato sarebbe stato possibile soltanto in virtù del coinvolgimento della 'ndrangheta, nella sua componente unitaria, non potendosi ritenere plausibile che una sola – sia pure potente ed influente – cosca sia in grado, a soli sette giorni dal voto, di condizionare una competizione elettorale su base regionale". Il Gup di Reggio Calabria, Pasquale Laganà, ha depositato le motivazioni della sentenza emessa nell'ambito del maxiprocesso "Gotha", in cui l'avvocato Giorgio De Stefano ha rimediato una durissima condanna a 20 anni di reclusione. Si tratta dello stralcio del procedimento celebrato con rito abbreviato, conclusosi nel marzo 2018, quando il gup inoltre ha condannato Dimitri De Stefano, nipote dell'avvocato, a 13 anni e 4 mesi di detenzione. Nei suoi confronti la Dda aveva invocato 15 anni di carcere; il figlio modaiolo di don Paolino infatti, sarebbe un elemento di spicco dell'omonimo clan. L'ex sindaco di Villa San Giovanni, Antonio Messina è stato condannato a tre anni e 4 mesi di carcere. Per lui l'Antimafia aveva chiesto una condanna a otto anni. Il funzionario della Corte d'Appello Aldo Inuso invece è stato assolto da alcuni capi di imputazione e per lui il gup Laganà ha disposto una condanna a 4 anni di carcere rispetto ai 12 anni e 6 mesi invocati dall'accusa. Pesanti anche altre condanne inflitte da gup come quella a 20 anni di carcere per Mario Vincenzo Stillittano e per Domenico Stillittano, a 18 anni per Antonino Nicolò e Roberto Franco. Dodici anni infine sono stati rimediati da Natale Saraceno e Domenico Marcianò, mentre l'imprenditore Emilio Angelo Frascati è stato condannato a 13 anni e 4 mesi. Altre condanne che oscillano dai 3 anni a quattro mesi di carcere dimostrerebbero come il gup ha ritenuto valida l'ipotesi accusarsi relativa all'associazione segreta aggravata dall'aver agevolato la 'ndrangheta. In tutto sono 9 le assoluzioni disposte dal gup ossia quelle riguardanti le posizioni di Angela Chirico, Antonino Chirico, Domenico Chirico cl. 1988, Domenico Chirico cl. 1986, Francesco Chirico, Giovanni Cacciola, Maria Luisa Franchina, Michele Serra e Paola Colombini.

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L'avvocato De Stefano sarebbe stato insieme al collega e amico Paolo Romeo (attualmente imputato nel procedimento che si celebra con rito ordinario) a capo della componente occulta della 'ndrangheta: "De Stefano Giorgio e Romeo Paolo dimostrano una straordinaria capacità di governare ed orientare lo scenario politico locale in modo tale da determinare le sorti delle elezioni comunali, provinciali, regionali ed europee (come nel caso della schiacciante vittoria elettorale al Parlamento Europeo nell'anno 2004 di Pirilli Umberto), giungendo finanche a stabilire chi, fra un candidato e l'altro, debba prevalere. Ciò, evidentemente, è il frutto di sinergie criminali risalenti nel tempo, le quali traggono forza e vigore dal ruolo di primissimo rilievo che i due coimputati rivestono in seno alla 'ndrangheta, per esserne non solo "parte" integrante, ma addirittura suo vertice assoluto" scrive il Gup Laganà.

A pesare, sul conto dell'avvocato De Stefano, oltre alle fondamentali intercettazioni telefoniche e ambientali, anche il narrato dei numerosi collaboratori di giustizia ascoltati negli anni dai pm Stefano Musolino, Roberto Di Palma, Walter Ignazitto e Giuseppe Lombardo. I pentiti hanno indicato l'inserimento di De Stefano, già a partire dalla fine degli anni '90, al vertice della 'ndrangheta, in un contesto criminale che interagisce stabilmente, attraverso associazioni segrete caratterizzate dalla "segretezza" dei "fini" e dalla "riservatezza" dei "metodi" (massoneria deviata), con il mondo dell'imprenditoria, della finanza, della magistratura e, più in generale, delle Istituzioni (organi amministrativi e politicorappresentativi degli Enti locali e del Governo centrale).

L'operatività dell'apicale De Stefano è assicurata attraverso la veicolazione delle strategie criminali a soggetti insospettabili (quelli che nella sentenza vengono definiti soggetti "cerniera" e "riservati") il cui compito è di realizzare una interfaccia tra l'organismo di vertice e la "base" territoriale dell'associazione. Tra i soggetti con cui si sarebbe interfacciato l'avvocato De Stefano, anche il commercialista-spione Giovanni Zumbo, condannato per essere la "talpa" delle cosche anche grazie ai propri rapporti con i servizi segreti.

Con l'inchiesta "Gotha" la Dda di Reggio Calabria ha alzato il tiro sui collegamenti istituzionali e paraistituzionali della criminalità organizzata: le inchieste "Sistema Reggio", "Fata Morgana", "Reghion" e "Mammasantissima" hanno colpito alla testa la 'ndrangheta. Delicate inchieste che hanno svelato la cappa 'ndranghetista e massonica che da decenni controlla Reggio Calabria e soffoca la parte buona di essa. Proprio l'inchiesta "Sistema Reggio" avrebbe provato la potenza dell'avvocato Giorgio De Stefano, capace – in forza del proprio carisma criminale – di dirimere le difficili controversie sull'apertura dell'ex bar Malavenda, ubicato nel quartiere Santa Caterina, da tempo equamente diviso tra lo schieramento destefaniano e quello condelliano: De Stefano avrebbe di fatto posto fine a una serie di attentati che avevano funestato quell'immobile, oggetto di appetiti di diverse cosche. Giorgio De Stefano interviene nella vicenda della riapertura del bar Malavenda con il precipuo intento di evitare che gli Stillittano ('ndrina da sempre conosciuta, nel contesto criminale cittadino, per il temperamento non certo "mite" dei suoi esponenti di vertice, i fratelli Mimmo ed Enzo Stillittano), portino ad ulteriore conseguenze l'azione di contrasto intrapresa nei confronti di un esponente di vertice della cosca Serraino (Antonino Nicolò detto "Pasticcino"), prima, e dell'imprenditore Carmelo Salvatore Nucera, poi.

Insomma, l'avvocato Giorgio De Stefano incarnerebbe perfettamente la funzione strategica (e occulta) svolta dalla componente "invisibile" della 'ndrangheta. Dalle acquisizioni processuali emergerebbe anche come persone di spessore all'interno della cosca De Stefano, come Paolo Rosario Caponera De Stefano, dovessero rispondere alle indicazioni provenienti da una componente della 'ndrangheta posta al di sopra delle singole articolazioni territoriali.

Quella occulta, appunto: "Il ruolo descritto dai collaboratori di giustizia e gli elementi oggettivi supra evidenziati, collocano l'imputato De Stefano Giorgio – al pari del sodale Romeo Paolo – in una sfera di operatività della 'ndrangheta diversa da quella che caratterizza, nei medesimi anni, membri apicali delle singole articolazioni territoriali (come ad esempio Giuseppe De Stefano, posto a capo dell'omonimo sodalizio e collocato, unitamente a pochi altri sodali, al vertice "operativo" del mandamento Centro). Si tratta, in sostanza, dell'evoluzione di quella che, nel convergente narrato dei numerosissimi collaboratori di vecchia a nuova generazione, ha rappresentato la "Società di Santa" o, più semplicemente, "a Santa", struttura elitaria di cui hanno fatto parte, oltre ai capi promotori (Mommo Piromalli, i fratelli Paolo e Giorgio De Stefano, Santo Araniti, tra i principali), i pochi altri elementi di vertice cooptati in tale apicale organismo. Non a caso, è con la "Santa" che prende avvio, venendo in certa misura "istituzionalizzato", il rapporto perverso di reciproco interscambio tra esponenti della massoneria deviata (costituita da "logge coperte" e "mastrini coperti o sporchi") e membri apicali della 'ndrangheta, in cui ha assunto fondamentale rilevanza la "componente riservata" della 'ndrangheta, per come esaustivamente rappresentato dal collaboratore di giustizia Virgiglio Cosimo, che dei due mondi (massoneria deviata e 'ndrangheta) ha fatto parte per molti anni, nel contesto territoriale di operatività della cosca di riferimento (quella dei Molè di Gioia Tauro)" è scritto nella sentenza emessa dal Gup Laganà. Tale interscambio, infatti, nel racconto operato dal collaboratore, è stato reso possibile grazie alla creazione di un "varco" – terminologia che, nel gergo allegorico di matrice massonica, indica la "breccia di Porta Pia" – indicato da Virgiglio in quella nuova figura criminale che è appunto la Santa, con la doverosa precisazione che il "ruolo" di Santista all'interno della 'ndrangheta non consente un automatico contatto con la massoneria: è infatti necessario, a tal fine, che si individuino ulteriori soggetti "cerniera" (termine utilizzato da Virgiglio per indicare la funzione svolta da quei soggetti che lo stesso collaboratore, nel gergo adoperato all'interno del sistema di potere, era solito appellare come "soggetti in giacca, cravatta e laurea"), personaggi cioè in grado di curare queste relazioni impedendo l'identificazione, dall'esterno, del citato sistema di interscambio. Di tali soggetti "cerniera" o "riservati" – nomenclature utilizzate da ulteriori collaboratori di giustizia per indicare le medesime, perverse interrelazioni – ha riferito Nino Fiume, conoscitore, dall'interno, delle vicende dei De Stefano, per avere frequentato per molti anni gli ambienti criminali governati dal boss Paolo De Stefano (padre dell'allora fidanzata di Fiume, Giorgia De Stefano), prima, e da Peppe De Stefano, figlio di Paolo, poi. E non è affatto casuale se Fiume, nell'indicare l'avvocato Giorgio come il consigliori della famiglia – un "mafioso di vertice che dà i consigli, non un mafioso da quattro soldi" – lo indica come erede di quelle relazioni riservate che il defunto boss Paolo (cugino dell'odierno imputato) aveva iniziato ad intessere ed a coltivare sin dagli anni '70.

Sono quei legami che stratificano e consolidano la potenza dei De Stefano, la quale si fonda non solo sulla "nota" e "visibile" componente operativa - quella incarnata, fra gli altri, da Carmine, Giuseppe e, all'occorrenza, Dimitri De Stefano - ma, soprattutto, sulla capacità di intessere riservatamente relazioni con il mondo imprenditoriale, politico ed istituzionale, nonché con gli ambienti massonici, di cui hanno dato prova, con diversità di ruolo e di "operatività", i coimputati Giorgio De Stefano e Paolo Romeo: "Sono costoro, infatti, che intessono relazioni con il mondo dei "riservati" del sodalizio, con soggetti insospettabili, professionisti al servizio della Giustizia [...] È proprio facendo leva su questo humus di "borghesia mafiosa" che gli avvocati Paolo Romeo e Giorgio De Stefano sarebbero riusciti a creare ed accrescere il proprio enorme potere: "E' proprio al connubio Romeo-De Stefano che si deve la pianificazione delle strategie politiche di una intera regione (la Calabria), attuate, per oltre un decennio, attraverso le figure politiche dei coimputati Sarra Alberto e Caridi Antonio Stefano".

Sarra e Caridi (rispettivamente ex sottosegretario regionale ed ex senatore della Repubblica) sarebbero stati i soggetti politici attraverso cui la masso-'ndrangheta avrebbe infiltrato le istituzioni.

"E' soprattutto attraverso costoro che è stata attuata quella massiccia attività di interferenza sull'esercizio delle funzioni degli organi rappresentativi di rango costituzionale (e non), che ha prodotto l'asservimento della funzione pubblica al soddisfacimento di interessi di parte, in grado di provocare rilevanti vantaggi ed utilità personali, professionali e patrimoniali" conclude la sentenza depositata dal Gup Laganà.