"Aemilia", difesa Iaquinta attacca ex Prefetto De Miro

Antonella De Miro torna sotto attacco nel processo Aemilia. L'ex prefetto di 'ferro' che nel 2012 avvio' la stagione delle interdittive antimafia contro le ditte di Reggio Emilia in odore di 'ndrangheta, viene infatti chiamata di nuovo in causa nell'arringa dell'avvocato Carlo Taormina, difensore dell'imprenditore Giuseppe Iaquinta e del figlio Vincenzo, ex campione del mondo di calcio. Nel mirino di Taormina finisce in particolare il provvedimento con cui, il 22 luglio del 2013, il prefetto reggiano nego' alla Iaquinta costruzioni l'iscrizione nella white list. Un atto che- insieme a quello del 5 luglio precedente che ritirava a Iaquinta padre l'autorizzazione a portare armi- ha segnato "la svolta perniciosa sia per l'attivita' economica sia per l'immagine pubblica" dell'imprenditore, che ha avuto "un tracollo totale". Per il legale pero', e' soprattutto il provvedimento di De Miro sulla white list ad essere "realmente ed esclusivamente abusivo e di questo vorremmo che qualcuno ne rispondesse". Taormina passa poi ai raggi X l'interdittiva, basata nello specifico sui rapporti parentali di Iaquinta con alcuni degli odierni imputati e sulla sua partecipazione a numerosi incontri con gli esponenti del sodalizio (tra cui la cena agli Antichi Sapori e il matrimonio della figlia del boss Nicolino Grande Aracri). Aspetti che in tesi di accusa forniscono "convincente motivo del credito e della stima goduti da Iaquinta che compare, sia pure discretamente, ma non marginalmente, in alcuni dei momenti piu' signifciativi della vita del sodalizio, sia nella sua dimensione autonoma che nel collegamento con la casa madre" di Cutro. Inoltre "il complesso, la cadenza e la natura delle frequentazioni inducono quindi, con tutta evidenza, a formulare un giudizio di piena intraneita' al conorzio criminale".

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Taormina chiede pero' le prove del fatto che i parenti dell'imprenditore "non fossero solo parenti" e che nei pranzi e nelle cene "non si sia andati oltre il semplice livello conviviale". E' poi per il legale "vergognoso", sulla base di questi elementi, gettare ombre sulla Iaquinta costruzioni "societa' con una storia ineccepibile su cui si fanno riflessioni relative ad eventuali tentativi di infiltrazioni mafiose, non riscontrate da nessuna parte". Pienamente provato e' invece che l'imputato, dopo aver ricevuto gli atti della Prefettura, chiese alla Dda e persino alla commissione parlamentare antimafia, che si facessero accertamenti sul suo conto. "Io- dice Taormina- non ho mai visto un mafioso che si autodenuncia. La mafia e' anti Stato, quindi o mi pento, o se mi rivolgo allo Stato vuol dire che non sono mafioso". Nell'arringa sono infine passati in rassegna i numerosi affari discussi dalla cosca in cui Iaquinta e' stato coinvolto nel suo ruolo di imprenditore: dal progetto di realizzazione di un pool di imprese reggiane (vicine o contigue al sodalizio) per andare ad acquisire importanti appalti nella zona di Cutro o comunque in Calabria per un valore da 150 milioni, anche nel campo dell'eolico e del fotovoltaico, all'apertura di una sala giochi nel centro commerciale "Le Vele" di Parma, fino al cosiddetto affare "Blindo". In questa vicenda, ha denunciato la commercialista bolognese Roberta Tattini giudicata nel rito abbreviato, Iaquinta si e' materialmente procurato una somma di oltre 800.000 dollari da cambiare con 1,4 milioni di euro provento di una rapina ad un furgone blindato.

"La stessa Tattini- sottolinea pero' Taormina- ha ritrattato le sue dichiarazioni negando di aver mai conosciuto Iaquinta o di aver visto i soldi in un suo capannone". Quanto agli altri affari "nessuno e' andato in porto e Giuseppe Iaquinta e' uscito di scena". Insomma l'imputato "e' stato coinvolto in questo processo sulla base del nulla, che tale e' rimasto fino ad oggi". Con cio' affermando Taormina che anche la contestazione suppletiva della Ddda, sull'appartenza all'associazione mafiosa anche dopo il 2015, per Iaquinta non puo' essere sostenuta. (Cai/Dire)