Bevacqua si autosospende dal gruppo Pd: “Con le sommatorie d’alleanze dove si finisce? Non butto 10 anni: urge chiarezza da Oliverio. Anzi, da Martina”

bevacquamimmo19giudi Mario Meliadò - Ieri, una seduta di Consiglio regionale davvero particolare.

Inizio solamente per le 17 (dovevano essere le 15), come vedremo inizio molto "politico", lavori che si trascinano un po'. Per quasi un'ora e mezza va così, con una dialettica significativa riguardo al progetto di legge in materia di polizia mortuaria. Poi il presidente d'Assemblea Nicola Irto opera un break di tre-minuti-tre: al ritorno in Aula, nel giro di tre quarti d'ora non si sa esattamente come e perché vengono approvati tutt'e dieci i punti all'ordine del giorno più un odg firmato dal presidente della Terza Commissione consiliare "Sanità" Michele Mirabello, "residuo" della seduta consiliare precedente, che il maltempo ha reso di peculiare attualità, sul potenziamento della galleria Coccorino di Joppolo, nel Vibonese.

Ma l'andamento è stato davvero fluttuante, sia nei tempi sia nei contenuti fin dall' "apertura delle ostilità": sì e no il tempo di leggere il verbale della seduta d'Aula immediatamente precedente, che il presidente della Quarta Commissione consiliare "Ambiente" Mimmo Bevacqua (Pd) spara a zero sul suo partito, sulla sua coalizione, sulla sua maggioranza prendendosi, diciamo così, una "pausa di riflessione".

E annuncia infatti, Bevacqua, una clamorosa autosospensione – un singolare "congelamento" dal gruppo consiliare dèm, non dal Partito democratico in quanto tale – evidentemente figlia dei mille disordini politici di questi giorni, con la prospettiva di ritrovarsi già fra poche settimane, per andare di sintesi duplice prendendo in prestito un indumento che ha scavato a fondo nell'immaginario politico degli italiani, un Presidente di Regione "con la bandana". Insomma un Mario Oliverio che da un lato strizzi l'occhio ai movimenti civici stile-Luigi de Magistris, dall'altro "apra" clamorosamente e ufficialmente al partito di quel Silvio Berlusconi che anni fa, la bandana, la sdoganò (era il 2004 e, in Sardegna, si rischiò un mezzo incidente diplomatico col premier britannico Tony Blair, allora già da tempo "astro" politico planetario) incidendo anche sul costume nazionale, oltre che sulla vita imprenditoriale prima e politica poi del Paese.

--banner--

Presidente Bevacqua, la sua è stata una polemica autosospensione che, però, fa rima con "riflessione": l'ha detto chiaro in Aula, il suo non è un addio al Pd. Lei però ha chiesto di sapere se davvero la direzione è quella di un abbraccio con forze politiche che certo di centrosinistra non sono: troppa ambizione, pensare d'ottenere risposta?

«La mia riflessione nasce da tante situazioni e da tante letture fatte in questi mesi. Io sono un tipo assai pacato e riflessivo, ho un'esperienza politica importante alle spalle: sono stato segretario provinciale della Margherita, ho avuto un ruolo nell'Assemblea nazionale del Pd, partito di cui mi ritengo uno dei padri fondatori nel Cosentino. Era un concetto per me innovativo, che oltretutto metteva a sintesi le due più grandi culture del secolo scorso, quella cattolica e quella comunista...».

Già. E lei in Aula ha detto, "a freddo", una cosa importante: «Nessuno mi può chiedere di buttare via 10 anni di vita, d'impegno politico». Evidentemente questo probabile abbraccio SinistraDestra non le piace, no? A lei non piacciono neppure le esaperazioni di un certo "civismo", l'ha sottolineato con chiarezza.

«Beh, lei ha colto molto bene. Io non voglio minimamente limitare le possibilità del presidente-candidato d'esplorare contesti e situazioni che fanno parte del civismo, di una fetta di territorio importante. Me ne guarderei bene. Però io sono sostenitore del principio che, pur essendo anche questa una strada importante da percorrere e di cui c'è bisogno, ove questo dovesse portare a sostituire il progetto politico del Pd, be', allora io vorrei operare una riflessione a più voci. Comprendere bene e coralmente se questa è davvero la via giusta, o se non sia più logico, in questo momento, concentrare tutte le poche forze rimaste al Partito democratico per mettere in campo una proposta credibile, che susciti un minimo... un minimo!, dico io, d'interesse, d'entusiasmo, in modo da recuperare forze sul campo e mettere sul tappeto energie fresche. E insomma in modo tale da ridare linfa a un progetto politico che, oggi, registra una grande difficoltà nell'intero Paese».

Sì, Bevacqua, ma il nodo che lei sembra indicare implicitamente è diverso. Con le Regionali alle porte, e se è per questo anche le Comunali della più grande città calabrese che è Reggio Calabria, sembra suonare il suo ragionamento, sarà forse il caso di puntare su altri percorsi e, aggiungiamo noi..., su altri uomini?

«Mah, è chiaro che la mia decisione d'autosospendermi dal partito nasce anche da una riflessione attenta alla luce delle recentissime Amministrative del 10 giugno. Chi è tentato d'esasperare la ricerca delle forze civiche, abolendo loghi, storie e contenitori tradizionali, mi pare proprio non sia stato affatto premiato. Mentre chi, come il sindaco di Brescia Emilio Del Bono, s'è ricandidato con le stesse forze, una lista del Pd...».

...Insomma è stata premiata la coerenza a una storia, a un'estrazione politica, lei sostiene.

«Diciamo che quando non si è arroganti, presuntuosi, supponenti la gente premia la credibilità, ecco. Le sue dichiarazioni post-voto mi hanno ricaricato, mi hanno dato forza, m'hanno fatto capire che allora forse c'è ancòra qualcosa su cui lavorare per dar forza a un progetto per il quale la mia generazione s'è spesa tanto, ha lavorato tanto, ha costruito tanto, ha pure creato rapporti tra chi veniva da culture diverse e, oggi, sta insieme dentro questo progetto».

Lei è un politico d'esperienza, Bevacqua, le fasi difficili o singolari del Pd le ha vissute tutte: anche quelle in cui le (poche) regole che s'era dato, poi in realtà il partito le "modulava" in base al momento politico... Marco Minniti "candidato unico alle Primarie" è stato uno dei picchi di quest'energia "creativa" anche rispetto al senso delle regole, che forzò in chiave partecipativo-acclamatorio-plebiscitaria quello che doveva essere un meccanismo di contendibilità dei vertici del partito, no?

«Scelte del genere sono frutto di situazioni del momento; e per la verità anche di contesti differenti. Talvolta, quando un partito è più forte tende a essere più sicuro di sé e quindi, magari, meno dialogante, senza allargare le alleanze. Oggi, siamo in una situazione diversa: le Politiche il 4 marzo scorso hanno cambiato completamente il quadro, oggi c'è un populismo imperante, come da dichiarazioni attuali di Matteo Salvini che, a mio modesto parere, sta del tutto fagocitando il Movimento Cinquestelle. A maggior ragione, oggi c'è disperatamente bisogno di una forza politica radicata sul territorio, che difenda la Democrazia e persino la libertà, oggi, il rispetto dell'altro, del prossimo, i deboli, i fragili... E questo può farlo solo un partito che ha una visione nazionale, che ha una "vera" classe dirigente sul territorio, non lo si può fare tramite sommatorie d'alleanze che, francamente, non si sa dove ci porteranno...».

Insomma il suo è un "no" secco a quello che qualcuno definisce "inciucismo" o machiavellismo, che sta facendo capolino rispetto al futuro prossimo del Pd in chiave-Regionali, con una Grande Coalizione che metta dentro i moderati del centrosinistra, i moderati del centrodestra e un bel po' di "società civile" che non fa mai male...

«L'abbraccio a Forza Italia? Ma guardi, io voglio essere più schietto possibile: secondo me, non sarebbe possibile neanche se tutto il Pd in modo compatto perseguisse questa strada. Oggi il centrodestra sta operando in modo coeso, unitario: pensare di 'spacchettare' questa coalizione, di strappare o riuscire a dialogare solo con un pezzo di centrodestra la vedo cosa ardua; anzi, per la verità, specie in chiave locale la vedo impossibile».

Quindi la cosa cruciale oggi, secondo Mimmo Bevacqua, non è recuperare pezzi di centrodestra a un disegno politico comune?

«No, anche perché la cosa cruciale oggi è recuperare pezzi di centrosinistra che a marzo prima e a giugno poi non ci hanno votato, pezzi d'elettorato di centrosinistra che oggi non crede più nella politica, nelle Istituzioni né tantomeno nel Pd. Certo, debbo dire, se ognuno ragionasse esattamente in questa chiave, ancòra ci sarebbe speranza di salvare il progetto: al riguardo, sono fiducioso. Però serve chiarezza».

Una nitidezza di pensiero e quanto ai compagni di strada futuri, ma anche a quelli attuali, che lei ha chiesto in modo assai diretto a Oliverio: ha citato il caso-Guccione, che di una robusta ambiguità di fondo è l'emblema. Davvero questa chiarezza la invoca anche da Roma?

«La priorità è una sola: voglio capire se a Palazzo Campanella, ad esempio, il gruppo del Pd oggi crede ancòra nel Pd. E Guccione non è l'unica questione: è tutto il gruppo, se crede davvero nel Pd e nella sua prospettiva, se ce la fa a evitare questo groviera, questi mille "buchi" quando c'è da garantire le presenze in Aula come ho fatto io, che non ho mai fatto registrare un'assenza. Seconda questione, io non condivido un civismo esasperato o, meglio ancòra, "di ritorno": anche quello è un limite culturale che davvero da sempre non mi appartiene. Ho sempre fatto parte di forze politiche che avessero una dimensione nazionale e anzi, semmai, europea perché è solo lì che si possono trovare ascolto, soluzioni, impegno per i mille nodi della Calabria odierna».

Certo però, Bevacqua, qui si scontrano due debolezze: quella di un Pd nazionale azzoppato da due tornate elettorali nel giro di un trimestre e quella di un Partito democratico calabrese e di un establishment regionale che si sentono scivolare il terreno sotto i piedi, all'avvicinarsi delle Regionali. Specie se Pd e centrosinistra vorranno Primarie anche dove c'è un uscente, o no?

«Questo credo sia uno dei più forti limiti delle leggi elettorali che prevedono l'elezione diretta dei sindaci o dei presidenti di Regione, esaltandone fin troppo il ruolo e le prerogative. Ma poi c'è un'altra mancanza che risiede nei partiti, che non interloquiscono con sindaci e Governatori in maniera propositiva e in modo anche dialetticamente forte, per trovare una sintesi. Sicché la vera sfida che il Pd dovrà trovare credo sarà proprio questa. E anche in chiave nazionale...».

Non si poteva non parlarne: le vittorie hanno sempre molti padri, ma per le sconfitte cercarne uno è affannoso.

«...Anche in chiave nazionale la vera sfida sarà questa. Diciamocelo chiaro, anche su scala-Paese paghiamo cari prezzi legati proprio alla leadership e gestione individualistica del Partito democratico, anziché plurale».

Insomma, se l'albero è Matteo Renzi, difficilmente il frutto cadrà lontano dall'albero...

«...Già. Da un Renzi che spesso ha creato divisioni, malumori, malessere, antipatie e simpatie. Ecco perché credo si debba anche ripensare il partito nazionale su scala organizzativa creando finalmente un partito-comunità. Un'espressione che mi piace molto».